Concludendo, nel precedente numero di Sapere, il testo dedicato al “prodigio” visivo dell’ombra della croce nella Chiesa di San Michele degli Scalzi sul lungarno di Pisa, ci auguravamo che le nostre chiese potessero divenire luoghi di pellegrinaggio scientifico, oltre che spirituale e storico-artistico, per la possibile presenza di “visioni” che sembrano quasi sfidare le leggi fisiche della percezione. Sempre a Pisa, nella bellissima Chiesa dei Cavalieri di Santo Stefano, a due passi dai danteschi luoghi della tragedia del conte Ugolino ( e non dalla Torre pendente), si colloca un altro portento visivo. Non legato però a un’opera d’arte del culto cristiano, ma a un oggetto diverso e in qualche modo antitetico: la bandiera di una nave della flotta islamica, una di quelle imbarcazioni che tra Cinquecento e Seicento contendevano alle armate cristiane il dominio sul Mediterraneo, in una lotta che – da entrambe le parti – era sentita come guerra contro gli “infedeli”. I vessilli islamici della chiesa costituiscono una parte dei trofei catturati dalla flotta dei Cavalieri di Santo Stefano, un ordine cavalleresco creato a metà del Cinquecento dai granduchi di Firenze, sul modello dei Cavalieri di Malta, per combattere sul mare i tradizionali nemici di fede. Per la loro bellezza e il loro significato storico le bandiere islamiche rappresentano uno dei motivi di grande interesse di questo luogo monumentale, insieme agli affreschi del soffitto dovuti alla mano di famosi pittori dell’epoca (Cristoforo Allori, Ludovico Cigoli, Jacopo Chimenti, Jacopo Ligozzi). Con le bandiere e gli affreschi (che celebravano le vittorie sulle armate islamiche e la conquista di esotiche regioni del vicino oriente), la chiesa assumeva – nelle intenzioni del potere Mediceo – anche il significato di luogo celebrativo della potenza politica e militare del Granducato e della sua fedeltà al campo cristiano.
A differenza dell’ombra della croce di San Michele degli Scalzi, il “prodigio” visivo della Chiesa dei Cavalieri non gioca sull’incertezza della collocazione percettiva nello spazio tridimensionale dell’oggetto figurativo, ma su una forma diversa di ambiguità, indicata come ambiguità figura-sfondo. Si tratta di una classe di fenomeni in cui l’immagine ha uno sviluppo puramente bidimensionale e l’ambiguità deriva dalla scelta più o meno inconscia operata dal nostro sistema percettivo, nel tentativo di assegnare ad alcuni elementi figurativi la funzione di oggetto rappresentato, e ad altri quella di sfondo sul quale situare l’oggetto stesso. Tra le ambiguità di questo tipo una delle più note è quella indicata come ambiguità “viso-vaso”, sulla base del fatto che a contendersi la “vittoria” percettiva nell’occhio dell’osservatore sono le forme antitetiche della silhouette di un vaso (spesso a forma di calice) o di due visi affrontati di profilo. La prima delle due immagini appare se prevale come oggetto percettivo la parte centrale della figura, (quella in giallo nostra figura), mentre si vedono i due visi se vengono scelti come oggetti rappresentati, le parti laterali della figura (quelle definite dai tratti verticali rossi).
L’ambiguità viso-vaso fu descritta in forma scientifica nel 1915 dallo psicologo danese Edgar Rubin, ma – come quasi invariabilmente accade con molte di queste illusioni visive – essa è presente in opere artistiche antecedenti, come ad esempio L’urne mystérieuse dell’artista francese Pierre Crussaire. Quest’opera, realizzata attorno al 1795, è stata a lungo considerata come la versione artistica più antica dell’ambiguità viso-vaso.
Questo almeno fino alla nostra “scoperta” di una simile ambiguità in una delle bandiere della Chiesa dei Cavalieri, una bandiera che attira immediatamente lo sguardo del fedele-visitatore non solo per la sua bellezza, ma anche per le sue grandi dimensioni (oltre sette metri di lunghezza). La tradizione vuole che essa sia stata catturata il 20 luglio 1675 sulla nave ammiraglia (la “Padrona”) della flotta tunisina di Biserta dai Cavalieri di Santo Stefano al comando di Camillo Guidi di Volterra, durante uno scontro avvenuto in prossimità dell’Isola d’Elba (ma la cattura potrebbe essere avvenuta nel 1628 in tutt’altre circostanze, seppur non vi sono dubbi della provenienza da una della navi principali della flotta di Biserta).
La scoperta (ma come si fa a parlare di scoperta per un oggetto che è stato a lungo sotto gli occhi dei visitatori della chiesa), o potremmo forse dire la “rivelazione”, fu l’improvviso apparirci, nella parte in alto della sua decorazione, dei profili di due volti umani affrontati, proprio come negli esempi classici di ambiguità viso-vaso. Ci sembrò poi che questi profili racchiudessero al loro centro, nella parte più scura color blu-turchese, un’immagine abbastanza definita che cominciò ad avere un senso evidente (seppur ambiguo) – man mano che ci familiarizzavamo con l’iconografia islamica.
In effetti, rovesciando la figura, nella parte centrale tra i due profili di volti umani, appaiono forme che suggeriscono la moschea ottomana (simbolo della fede religiosa dell’Islam) con alla sommità il motivo dell’‘ayyildiz’ (mezzaluna e stella) tipico delle bandiere turche e ottomane. Oppure l’immagine di un elmo, con l’ambiguità tra moschea ed elmo probabilmente voluta, a significare il connubio tra guerra e fede a cui dovevano far riferimento le armate dell’Islam. Oltre alla complementarietà figura-sfondo esiste nella bandiera anche una complementarietà cromatica nel motivo a ayyildiz, tra l’elemento centrale (sulla sommità della moschea rovesciata) e i due elementi laterali situati all’incirca al centro di ciascuno dei profili (in una posizione tale da poter suggerire l’orecchio con un pendente ad anello): le mezzelune e le stelle sono o in colore blu-turchese su sfondo rosso, o, viceversa, in rosso su sfondo blu-turchese. Una strategia analoga è utilizzata in altre parti della bandiera. Come, per esempio, nel motivo a doppi rombi curvilinei con al centro la mezzaluna, rappresentato in tre luoghi diversi, ogni volta con inversione cromatica. E poi anche nelle stelle e candele stilizzate, elementi che fanno riferimento alla luce e alla potenza illuminante della fede. E ancora i motivi rettilinei ondeggianti, in basso verso l’apice della bandiera, che possono significare fiamme, simbolo della fede (quelli in rosso), o onde (quelli in blu), che suggeriscono il mare e le battaglie di cui è teatro. Nella bandiera, agli elementi che simboleggiano la fede si accompagnano elementi che suggeriscono il carattere militare della nave su cui sventolava, come per esempio i due oggetti allungati situati in alto, sia a sinistra che a destra, che – nella tradizione della stilizzazione ottomana – possono essere identificati sia come pugnali che come cannoni. Le foglie incrociate all’interno della moschea rovesciata (palma o alloro) possono significare sia la pace che la vittoria.
L’ambiguità viso-vaso – e più in generale i giochi figura-sfondo – non rappresentano gli unici elementi su cui l’artista ha giocato nel suo tentativo di dare forti connotazioni religiose a questo emblema della guerra contro i nemici dell’Islam (gli infedeli cristiani).
L’intera immagine che appare all’interno del bordo a scacchi suggerisce fortemente il motivo della spada a due punte, la zul-fikar, un importante emblema islamico rappresentato con notevole frequenza sulle bandiere ottomane. Si tratta della ‘spada perfetta’ di origine divina e di valore simbolico, donata da Maometto al suo genero, Alì, l’eroe dell’Islam e il primo degli Iman. La spada a doppia punta è rappresentata in altri casi in forme diverse da quella della bandiera di Biserta, come è particolarmente evidente in un altro vessillo, pure appartenente alla collezione pisana, catturata sulla nave ammiraglia di Alessandria, nel 1602.
In questa seconda versione la spada presenta un’evidente affinità visiva con uno strumento geometrico – il compasso. Un’affinità che è comunque evidente anche nella bandiera di Biserta, nei due elementi che sono al di sotto dei profili dei visi, ben visibili nel dettaglio della bandiera, a destra. La somiglianza di una spada con uno strumento geometrico di grande importanza militare, com’era il compasso all’inizio dell’era moderna, ha un significato emblematico. Tra Cinque e Seicento l’esito delle battaglie cominciava a dipendere sempre meno dal coraggio individuale di prodi cavalieri che combattevano con le loro spade. In guerre che si avviavano a divenire tecnologiche diventavano sempre più importanti le rilevazioni e i calcoli geometrici di cui il compasso militare era un emblema. Tra queste la determinazione della distanza e della posizione dei nemici, calcoli balistici sulle gittate dei cannoni, prospezioni planimetriche, rilevamenti cartografici e navali. Questo trend della tecnologia militare non era ovviamente limitato alle sole armate islamiche. Dalla parte cristiana una simile trasformazione è documentata in un modo metaforico dal fatto che i primi compassi militari (come il “radio latino” cosiddetto dal nome dell’inventore Latino Orsini) avevano la forma di pugnali e spade, e potevano – all’occasione essere in effetti utilizzati come armi.
Non possiamo seguire qui l’evoluzione di questo oggetto inizialmente ambiguo – arma e strumento di prospezione e calcolo – l’antesignano del regolo calcolatore, usato comunemente fino ai tempi recenti da ingegneri e architetti prima del dilagare dell’elettronica moderna.
È importante però sottolineare come non a caso l’arte mussulmana potrebbe aver prodotto quello che è forse il primo esempio di ambiguità viso-vaso nella cultura occidentale. Si tratta di un’arte ricca di immagini potenzialmente ambigue per l’abbondanza di elementi decorativi (ad “arabesco”) che la caratterizza. La complessa elaborazione di motivi geometrici correlati ad aspetti sia religiosi che scientifici della cultura islamica, la ripetizione di caratteri altamente stilizzati nella calligrafia araba e la grande varietà e complessità ornamentale della decorazione di tappeti e arazzi, tutto questo costituisce una piattaforma ideale per la generazione di motivi percettivamente ambigui. Poca meraviglia dunque se gli artisti islamici giunsero a manipolare ambiguità sia di tipo geometrico che di tipo figura-sfondo con grande abilità. Nei motivi decorativi islamici l’ambiguità figura-sfondo è di solito la regola, come appare in un’altra bandiera della Chiesa dei Cavalieri, quella con l’ayyildiz al centro e la bordura di gigli. I fiori stilizzati della bordura mostrano un chiaro effetto di alternanza figura-sfondo (appaiono alternativamente gigli dorati su campo celeste, o gigli celesti su campo dorato). Ugualmente giocata sul rapporto figura-sfondo è la raffigurazione dell’ ayyildiz. Qui la stella, e con essa la scritta simmetrica inserita nella mezzaluna («Dio è unico e Maometto è il suo Profeta») sono definite dall’artista in modo indiretto, attraverso l’oro dello sfondo.
“Miracolo” dunque quello visivo della bandiera di Biserta, legato a una cultura ricca e complessa che noi dovremmo sforzarci di studiare ed approfondire, riconoscendone i forti legami con la nostra cultura “cristiana”, in un mondo divenuto fluido, in cui tensioni, disgregazioni e pulsioni regressive rischiano di minare tante conquiste di civiltà e tanti aspetti della vita sociale.
Sul tema dei complessi elementi figurativi dell’arte islamica vi è infine da sottolineare un aspetto di singolare attualità. Le forme regolari, ma non periodiche, presenti in alcune elaborate decorazioni geometriche dell’arte medievale islamica (per esempio nell’Alhambra di Granada), hanno delle significative somiglianze con i pattern geometrici che definiscono la struttura dei “quasi-cristalli” scoperti nel 1982 da Daniel Shechtman, premio Nobel 2011 per la chimica. Constatazione sorprendente, ma forse non troppo, almeno per gli studiosi dei fenomeni visivi che si rendono sempre più conto di come nel loro campo di studi gli artisti abbiano spesso “anticipato” – a volte di alcuni secoli – le scoperte della scienza moderna.
Bibliografia
- Piccolino, Marco, & Nicholas J. Wade. 2007. Insegne ambigue: percorsi obliqui tra storia, scienza e arte da Galileo a Magritte. Pisa: ETS.
- Wade, Nicholas J. 1982. The art and science of visual illusions. London: Routledge & Kegan Paul.