La misurazione dei potenziali elettrici generati nell’occhio in rapporto all’attività fisiologica delle strutture che lo compongono (cellule nervose della retina, cellule dell’epitelio pigmentato, cornea) e da varie strutture nervose centrali della visione (soprattutto la corteccia visiva) non è certo un’indagine di routine a cui il paziente viene sottoposto nello studio di un oftalmologo. Molto più comuni sono le indagini elettrofisiologiche utilizzate in altre settori della medicina, l’elettrocardiogramma in primo luogo, strumento indispensabile della pratica cardiologica. Eppure la registrazione dei potenziali elettrici oculari può essere in alcuni casi molto utile per diagnosticare malattie dell’occhio e del sistemo visivo.
Alcune di queste indagini come l’Elettroretinogramma (ERG) sono relativamente antiche e di esecuzione abbastanza semplice, mentre altre come per esempio i Potenziali evocati visivi (VEP) sono stati introdotti nella pratica clinica più di recente e richiedono particolari attrezzature . Oltre a servire a diagnosticare stati patologici del sistema visivo, alcune di queste metodiche possono essere utili anche per altri tipi di studi. Una particolare modifica della tecnica dei PEV, basata sulla stimolazione visiva con immagini luminose a varia configurazione spaziale, può servire a valutare la capacità di vedere di un bambino fin dai primi mesi di vita, in un periodo in cui il soggetto esaminato non è evidentemente in grado di rispondere alle domande dell’esaminatore. Una metodica conosciuta con il termine di EOG (Elettrooculogramma) serve invece a valutare la funzionalità dell’epitelio pigmentato retinico, una struttura cellulare che è essenziale per la sopravvivenza dei fotorecettori della retina. Si utilizza nella diagnostica di alcune malattie del fondo oculare in cui è compromesso in particolar modo proprio l’epitelio pigmentato retinico. Per eseguire questo esame si applicano degli elettrodi di lato agli occhi, sul naso e sulle tempie, e si fanno ruotare gli occhi a destra e a sinistra a intervalli regolari. In questo modo alternativamente si avvicinano agli elettrodi l’apice corneale e il polo posteriore del bulbo oculare dove è presente il potenziale elettrico dell’epitelio pigmentato. Si rileva così la differenza di potenziale tra apice corneale e polo posteriore dell’occhio.
La possibilità di registrare potenziali elettrici dall’occhio e da altre strutture del sistema visivo è espressione di una proprietà generale delle cellule dell’organismo, che si esprime in un modo particolarmente notevole nelle cellule nervose: la presenza cioè tra interno e esterno delle cellule (ai lati cioè della membrana cellulare) di una differenza di potenziale elettrico dell’ordine di un poco meno di un decimo di Volt. Questa differenza non è costante ma varia in rapporto all’attività della cellula. Nelle cellule e fibre nervose questo potenziale elettrico serve a trasmettere segnali che codificano informazioni sensoriali e motorie, segnali che ci permettono di vedere, ascoltare, parlare, muovere un braccio, correre, di avere emozioni, di pensare anche. Le cellule nervose dell’occhio partecipano di questa generale caratteristica elettrica dei neuroni dell’organismo, ma in alcuni casi, come per esempio i coni e i bastoncelli della retina, producono potenziali elettrici particolari, diversi dai cosiddetti impulsi elettrici che sono utilizzati dalle cellule e fibre nervose ordinarie per trasmettere l’informazione a distanza.
Siccome un decimo di Volt è un potenziale piccolo, si potrebbe pensare che l’elettricità costituisca un aspetto marginale della fisiologia del nostro occhio (e in generale delle cellule del nostro sistema nervoso). Eppure, a farci capire quanto anche noi siamo “organismi elettrici” persino nell’intimo del nostro occhio, basterebbe pensare che se disponessimo gli oltre cento milioni di bastoncelli che vi sono nella retina umana in modo tale da far sommare i potenziali elettrici otterremmo un potenziale elettrico superiore ai dieci milioni di Volts! Un potenziale davvero grande, in grado di far uscire dal nostro occhio scintille come da un arco voltaico, e tale da farci apparire trascurabile quello con il quale in un celebre film con Boris Karlof, il Dottor Frankenstein cercava di dare vita alla creatura mostruosa da lui creata.
Per fortuna questo non accade e lo “scintillio degli occhi” è normalmente solo una metafora utile a indicare un nostro particolare stato emotivo.
Se è vero che potenziali delle nostre cellule nervose non si sommano nel nostro occhio, né di solito nel nostro cervello, esistono però esseri viventi in cui qualcosa di questo genere si verifica, in cui cioè l’elettricità, invece di fluire in modo relativamente tranquillo nell’intimo di ciascuna cellula o fibra nervosa, può riversarsi all’esterno manifestando la terribile violenza delle sua forza.
Questo avviene in tre generi di pesci molto diversi tra di loro, uno marino, la torpedine, piuttosto comune nei nostri mari, e gli altri due pesci di acqua dolce, e cioè il pesce gatto elettrico detto anche siluro del Nilo (anche se presente in molti fiumi africani), e il Gimnoto o anguilla elettrica tipico dei fiumi e delle lagune dell’America del Sud, e soprattutto nella Guyana e nel Brasile. L’organo di questi pesci elettrici è formato da cellule appiattite (di origine muscolare) indicate come elettrociti, poste l’una sull’altra in modo ordinato come i dischi di una pila elettrica. Ma non è solo la disposizione ordinata “in serie” (come si direbbe con linguaggio fisico) a rendere possibile il sommarsi dei potenziali elettrici prodotti da ciascun elettrocita. La natura ha dovuto far sì che ciascuno dei due foglietti appiattiti della membrana dell’elettrocita che delimitano l’ambiente intracellulare ripiegandosi l’uno sull’altro, non cancellino, per ragioni di simmetria, il potenziale generato dall’altro foglietto della membrana. Si tratta di una modificazione complessa e diversa in parte nei diversi pesci, che non possiamo qui analizzare in dettaglio. Diciamo solo che dalla sommazione dei potenziali di ciascun elettrocita si generano potenziali elettrici di grande ampiezza che nelle torpedini ordinarie arrivano a circa 50 Volts (ma possono superare i 300 Volts in alcune specie particolarmente grandi, come per esempio la Torpedo nobiliana), nei siluri nel Nilo arrivano normalmente a 300 Volts, e nelle anguille elettriche possono superare i 600 Volts, mettendo a repentaglio la vita di un uomo, soprattutto nel caso di persone che si immergono nei fiumi e negli stagni in cui questi pesci vivono.
Le anguille elettriche furono conosciute dagli europei a partire dal Cinquecento, in rapporto soprattutto ai viaggi di esploratori e missionari spagnoli in America latina. I siluri nel Nilo e le torpedini sono invece noti da millenni. La loro scossa è stata a lungo interpretata facendo riferimento a virtù e poteri magici. Solo nel Settecento, con lo sviluppo degli studi sull’elettricità e l’invenzione di potenti macchine elettriche in grado di produrre forti scosse si cominciò a stabilire una relazione tra l’elettricità e lo strano potere di questi pesci. Il cammino della scoperta dell’elettricità dei pesci fu però lungo e difficile, soprattutto perché esistevano pregiudizi che potremmo definire “scientifici” contro la possibilità che in un corpo animale, e in particolare in un pesce, potesse essere racchiusa una forte elettricità. Molti pensavano infatti che, essendo i tessuti dell’organismo elettricamente conduttori, non si sarebbe potuto creare al loro interno lo squilibrio elettrico necessario a produrre gli effetti dell’elettricità. La difficoltà diventava ancora maggiore nel caso dei pesci che vivono in un ambiente conduttore di elettricità com’è l’acqua.
A dispetto di queste ‘sensate obbiezioni’, dopo che molti a partire dal 1750 avevano notato la somiglianza della scossa dei pesci con la scossa elettrica, l’inglese John Walsh (1726-1795) riuscì, con una serie di esperimenti condotti prima sulle torpedini a La Rochelle in Francia nel 1772 e poi nel 1775 a Londra su anguille importate dalla Guyana, a stabilire oltre ogni ragionevole dubbio la natura elettrica della scossa dei pesci. Sebbene il meccanismi fisiologici attraverso i quali gli organi lettrici generano i potenziali elettrici che sono alla base della scossa siano stati chiariti solo nella seconda metà del Novecento, i risultati ottenuti da Walsh ebbero un’importanza storica enorme, aprendo la strada a due delle più grandi scoperte della scienza del Settecento. Da un lato essi infatti contribuirono alla decisione di Galvani di investigare se anche animali più ordinari come le rane utilizzassero l’elettricità per i loro meccanismi fisiologici e in particolare per la contrazione muscolare e la contrazione nervosa. Dopo circa un decennio di ricerche sperimentali il celebre dottore di Bologna poté annunciare, in una pubblicazione stampata a Bologna nel 1791, la sua scoperta della “elettricità animale”. Fu questa una tappa fondamentale della fisiologia moderna e un passo decisivo per la nascita delle moderne neuroscienze.
La dimostrazione della natura elettrica della scossa dei pesci ebbe poi un ruolo decisivo nell’invenzione avvenuta verso la fine del 1799 della pila elettrica da parte di Alessandro Volta. Fu tale l’ispirazione che, nell’invenzione del suo dispositivo, Volta trasse dallo studio dell’organo dei pesci, che nella lettera che egli scrisse in francese il 20 Marzo 1800 a Joseph Banks, presidente della Royal Society di Londra, per annunciare la sua storica scoperta egli indicò la pila come “organe électrique artificiel”. Questo perché egli diceva, l’apparecchio che aveva inventato somigliava all’organo elettrico naturale dei pesci, non solo nella forma ma anche nel modo di funzionare. La somiglianza visiva dell’organo elettrico della torpedine con la pila di VoltaNell’ambito dei limiti della scienza del suo tempo, Volta non poteva certo conoscere i meccanismi intimi del funzionamento dell’organo dei pesci. È vero però che, come tutte le cellule dell’organismo (e in particolare le cellule nervose e muscolari) gli elettrociti sono delle minuscole pile elettriche che con il loro funzionamento rendono possibili alcune delle più importanti funzioni della fisiologia animale.
Non solo i pesci dunque sono elettrici, ma anche noi e anche i nostri occhi e quando ci viene da dire che i nostri occhi scintillano, dovremmo anche pensare che ci potrebbe essere qualcosa più di una metafora in quello che diciamo.